transiti
le cremazioni
Varanasi è la città più sacra e antica dell’India. Ha circa 3700 anni, proprio come il fuoco sacro ancora acceso sul ghat di Manikarnika che alimenta le pire di legno su cui vengono bruciati i morti giorno e notte.
La speranza degli indù è di morire qui, in questo fiume che libera l’anima dal cerchio della vita e rompe il ciclo delle reincarnazioni, detto Samsara. Per poterlo fare, chi non può permettersi di sostenere la spesa di trasportare qui la salma, trascorre gli ultimi mesi di vita nelle celle dei Death Hostel, sconfinati edifici adibiti esclusivamente a questo scopo.
La nostra cultura insegna – o impone? – che la morte sia una fine, un evento che porta con sè la tristezza e spesso la disperazione. Ѐ scioccante per noi assistere a una scena che si presenta ai nostri occhi come un paesaggio apocalittico tra incendi, ceneri, abiti abbandonati, devastazione, cani, capre e mucche.
La convivenza tra i defunti e i vivi, tra gli schizzi gioiosi dei bagni dei pellegrini di fianco a decine di pire, appare ai nostri occhi pressoché assurda.
Il canto dei familiari, che trasportano le salme attraverso strettissimi vicoli prima di giungere al fiume, è assordante tanto quanto è solenne il loro silenzio mentre dissetano i cari defunti con l’acqua del sacro fiume, scoprendo il loro capo davanti a tutti i passanti.
Il tutto avviene come se fosse normale. Ed è normale.
La morte, in questo paese che considera ogni singolo individuo come una parte del creato, è ritenuta solamente un passaggio, un transito di pace che viene affrontato con fede e fonte di una profonda serenità.
un tuffo nella vita
bagni sacri
Il fiume Gange è sacro per gli Indù e secondo la loro religione rappresenta Ganga, la dea della purificazione. Migliaia di pellegrini ogni giorno fanno il bagno rituale nelle sue acque, nella speranza di ottenere la redenzione, malati e persone sofferenti le bevono sperando di guarire, mentre famiglie intere attraversano il paese almeno una volta nella vita per compiere questo rito. Vi è una grande fede nelle proprietà di purificazione del fiume, convinti che l’acqua santa permetta di ottenere il perdono dai peccati e una vita terrena migliore.
Tutte queste credenze non sono minimamente intaccate dal fatto che il Gange sia fortemente inquinato; nei suoi flutti vengono infatti disperse le ceneri e ossa dei corpi dei defunti, rituale indispensabile per sfuggire allo stesso karma e non reincarnarsi più.
La vita, la fede e gli schizzi di gioia scorrono sul ghat, la riva a scalini lunga 7 chilometri predisposta per i bagni sacri, in uno spettacolo in diretta, giorno e notte senza sosta.
Ogni immagine restituisce atmosfere e sensazioni contrastanti – contemplative e allegre, mistiche e profane, statiche e briose – ma allo stesso tempo specchio e testimonianza di miriadi di persone capaci di stare nel “qui e ora”, completamente impassibili alla presenza di occhi e di osservatori esterni.
panorama umano
come in una serie Netflix
I ghat di Varanasi sono un luogo di incredibile fascino, soprattutto all’alba quando i primi raggi di sole ne accentuano i magici colori.
Ho scattato queste immagini con l’intenzione di documentare il luogo attraverso una semplice fotografia di paesaggio, ma una volta viste sullo schermo, mi sono resa conto che il mio animo da ritrattista si è prepotentemente manifestato ancora una volta.
Vi sono così tante storie raccontate in queste immagini – così tanti ritratti – al punto tale da non rappresentare più dei semplici paesaggi ma dei panorami umani.
Si dipanano qui infinite narrazioni possibili, raccontate come in un film. Anzi, in una serie Netflix.
Per restituire la bellezza e la peculiarità di queste scene e delle loro atmosfere, ho nuovamente attinto ai ferri del mestiere di un pittore, creando tramite composizioni e luci l’illusione di una pittura di genere.
Guardando queste folle sembra incredibile che ci sia una tale densità di presenza umana, unitamente a tutto ciò che accade intorno.
Sono luoghi così fitti e gremiti che tutto si potrebbe immaginare eccetto che all’interno possa scorrere una vita fluida, serena, pacifica e saggia.
Spesso ci sentiamo oppressi e spaesati perché non siamo in grado di riconoscere il flusso e lasciarci trasportare da esso con fiducia e serenità. In questo senso è stato per me sorprendente scoprire che gli indiani ci chiamano, con rispetto e simpatia, poor western people proprio per questo motivo.
Immersa in queste fantasmagoriche folle ho avuto la sensazione che la Vita è una continua e straordinaria scoperta, in cui nulla accade per caso.
multistorie
un’immagine, tanti racconti
Le mie fotografie contengono sempre più di un racconto, per cui è necessario leggerle attentamente. Bisogna guardare con cura e cercare le storie che si celano dietro una tenda, all’interno di una finestra o dietro una ruota. Ogni persona, anche se messa nell’angolo dell’inquadratura un po’ nascosta è una narrazione a sé e lascerà un messaggio che porta la testimonianza di ciò che in quel momento prova o di ciò che sta accadendo.
Il racconto si svolge su più piani e livelli, tanto da suggerire una lettura stratificata dell’immagine. La composizione in questo caso è densa e ricolma, satura la retina sino a renderne impegnativa la decodificazione. L’inquadratura giunge ad essere così complessa, tanto da assalire lo sguardo e richiedere più tempo, poichè è difficile da leggere in un solo istante.
A questo proposito il grande maestro Alex Webb disse che una fotografia assume valore quando invita il suo osservatore a guardarla il più a lungo possibile. Nei ritratti questo accade attraverso la potenza dell’espressività del soggetto, mentre nel caso della fotografia di strada avviene attraverso il racconto di più storie all’interno di un unico scatto.
ritratto collettivo
di strada
Questo modo di ritrarre la società è nato per puro caso, in un viaggio precedente in India nel 2019.
In una strada affollata e caotica ho semplicemente fotografato ciò che si trovava in quel preciso istante di fronte a me.
Ho realizzato questa serie di ritratti collettivi osservando con attenzione il flusso della vita attorno, facendomi travolgere da incontri casuali, cercando lo sguardo delle persone e lasciandomi trascinare dentro i loro mondi.
Sono mondi silenziosi e statici, ma incredibilmente ricchi di racconti di vita stratificata in ogni ruga, postura o gesto. Ogni inquadratura si presenta come un fermo immagine della dimensione urbana nel suo scorrere ordinario e dei suoi abitanti, rivelando un insieme di informazioni e dettagli al pari di un sociogramma.
In tale modalità un unico scatto rigorosamente rubato restituisce e racconta qualcosa di significativo di un momento vissuto, di una società o di quella strada.
I soggetti ci scrutano, ma permettono di essere catturati dall’obiettivo, quasi indagati.
ambienti abitati
l’uomo, l’ambiente, un unicum
Il ritratto ambientato è composto da due soggetti: la persona e l’ambiente.
Entrambi sono testimoni, raccontano e rivelano vite veramente vissute.
Sempre per rendere onore ai soggetti ritratti, ogni scena fotografata è stata interpretata come se fosse un set cinematografico o pittura di genere.
“Il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro d’umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove” ha scritto Tiziano Terzani proprio a proposito dell’India.
Ogni scatto apre mondi segreti, scenografie in cui perdersi e rimanere incantati a guardare dettagli e particolari che sembrano essere stati costruiti e messi in scena con certosina precisione.
Il soggetto ritratto è tutt’uno con il contesto e ne costituisce parte integrante e inscindibile, trasformando ogni fotografia in un racconto filmico di una vita intera, racchiusa e condensata in un unico frame.
Le immagini che appartengono alla serie degli ambienti abitati restituiscono flash di vita vera tra vicoli e strade, in una costellazione caleidoscopica di micromondi che si svelano in sequenza allo spettatore-passante.
paradossi
nulla è come sembra
Nulla è come sembra, nulla è a caso.
La coda di un cane, la testa di un dormiente, un piede nell’angolo possono trarre in inganno l’occhio umano falsandone in prima battuta la visione.
Lo stile McCurryano, che mi ha caratterizzato per molti anni, prevede che i margini di una fotografia debbano rimanete puliti, nulla deve essere tagliato o interrotto. Il soggetto rappresentato deve essere chiaro e il campo visivo libero da elementi di disturbo o distrazione.
La fotografia contemporanea, invece, ama rompere i bordi dell’immagine e permettere all’ambiente circostante di comunicare e interferire con la scena scattata, offrendo all’osservatore delle informazioni in più.
Per una persona cresciuta tra i dogmi di un regime, ciò equivale a infrangere le barriere mentali imposte ed è un processo difficile da compiere. A volte disobbedire alle regole non è la strada più semplice, è paralizzante.
In questi scatti emerge la ricerca di significati anche nelle minime cose; a prima vista paiono irrilevanti, ma visti più da vicino mutano radicalmente il senso di ciò che si osserva, riuscendo a scardinare pregiudizi e facili certezze.
Esattamente come accade nella vita.
anime
ritratti posati
Per la prima volta nella mia vita ho approcciato i ritratti on the road, costruendo dei veri e propri set fotografici in esterno e per strada. Questo aspetto mi ha messo molto in difficoltà perché non sono abituata a far posare in modo così organizzato in viaggio o tra la gente.
Ho avuto l’iniziale timore di realizzare dei ritratti che potessero risultare in qualche modo “finti”, ma la natura autentica dei protagonisti di questi scatti è rimasta intatta grazie all’approccio rispettoso ed empatico.
Quando un fotografo punta l’obiettivo negli occhi di una persona accade una comunicazione a due sensi: chi scatta chiede e si appropria di un pezzo dell’anima del soggetto fotografato, ma nello stesso tempo dona un pezzo della propria anima, in una sorta di processo di scambio osmotico.
In questo viaggio ho scelto le persone più comuni dando loro la dignità di un quadro, in modo tale da onorare la loro bellezza esteriore e interiore. Ho voluto rappresentare ogni individuo attraverso un taglio classico, come se i miei soggetti fossero stati dipinti da antichi maestri.
Solo dopo aver realizzato i ritratti ho notato che tutti i soggetti hanno lo stesso sguardo: scrutano, ma non giudicano, interrogano, scavano, accedono agli angoli più reconditi del loro interlocutore con rispetto, ma allo stesso tempo sono disponibili a rivelarsi con amore.